La stagione dei rinnovi contrattuali parte male: irrisolti diversi nodi del nuovo codice degli appalti, materie prime in aumento e costi della logistica fuori controllo.
Non è solo una questione meramente sindacale…
Editoriale a cura di Danilo Broggi, Consulente strategico, già presidente Confapi e Ceo Consip
Appena varato il testo del D.L 36/2023 meglio conosciuto come nuovo Codice degli Appalti, avevo scritto, nel dicembre 2022, un articolo dove in estrema sintesi scrivevo al riguardo del Nuovo Codice: …” Una giusta indiscutibile direzione ma con ancora aspetti di sostanza da definire che – se non adeguatamente centrati – annacquerebbero l’impianto legislativo diminuendone il concreto impatto positivo.
A distanza di due anni il legislatore in senso ampio, ahimè, ha esattamente centrato quello che presumevo – in verità anche spinto dalla pressione legata all’aumento del debito pubblico – che ha raggiunto lo scorso febbraio il suo record negativo pari a circa 2.872,4 miliardi di euro, in crescita di 22,9 miliardi rispetto al mese precedente e superando di quasi 5 miliardi il livello di ottobre 2023. In particolare, tralasciando altri aspetti più squisitamente giuridici, mi soffermo sul tema della Revisione Prezzi.
La cosiddetta “franchigia” o soglia (art. 60) solo sopra la quale può essere riconosciuta la revisione prezzi – fissata al 5% – rende di fatto inapplicabile tale meccanismo. E non prendo in considerazione al momento il tema degli indici elaborati da Istat indicati al comma 3 che andranno giocoforza revisionati, come peraltro indica il dispositivo di legge medesimo. Il risultato (il mancato riconoscimento effettivo della revisione prezzi) molto probabilmente lo pagheranno i lavoratori che verranno lasciati a casa e le aziende che faranno fatica a stare sul mercato e/o la qualità stessa dei servizi che il mondo in particolare del Facility Management ha assicurato in questi anni. Stiamo parlando di servizi di mense, pulizie, guardanie, manutenzioni, anche in ambienti particolari quali ospedali, caserme, etc. costituenti peraltro un insieme, non secondario, legato al benessere e alla salute dei lavoratori del pubblico impiego e delle persone in generale che occupano tali infrastrutture.
L’innovazione e l’automazione crescente in tutti i mercati ha portato – come assai previsto da vari e in alcuni casi eminenti studi – ad una diminuzione della forza lavoro diciamo più tradizionale con un effetto sostituzione (ricerca competenze STEM), che ovviamente non è in condizioni di bilanciare tale rapporto (report EY-ManPower-Sanoma Novembre 2023). Il mondo del Facility Management, seppur attento all’innovazione, per stringenti logiche legate alle varie tipologie e modalità di servizi ha avuto un impatto assai positivo sul tema occupazionale in questi anni (16,4 milioni di addetti, circa il 70% degli occupati in Italia – fonte: Cresme 2017) e le previsioni di crescita previste sino al 2030 a livello globale (Data Bridge Market Research 2023) sono altrettanto significative (Cagr: +12,6%).
Viene anche facile, ricordare al legislatore e agli Organi di controllo che negli ultimi anni sono avvenuti “eventi imprevedibili” (Covid, Guerra Ucraina-Russia e altro) che hanno causato un rialzo dei prezzi dell’energia e della logistica in generale e quindi dei semilavorati e prodotti finiti che hanno inequivocabilmente impattato negativamente sul costo dei servizi e dei prodotti.
Ora come sempre la soluzione non è a mio avviso (solo) sul piano strettamente giuridico: va con attenzione valutato e considerato l’impatto sul mondo del lavoro e sul PIL che tale comparto ha offerto in questi anni e le conseguenze di provvedimenti legislativi visti “solo” in sede bilancistica. Nuova disoccupazione, aziende in difficoltà, quindi ulteriore necessità di risorse finanziarie pubbliche per reggere questo impatto; senza considerare il pericolo (e gli ulteriori inevitabili costi) di un livello di servizi non adeguato e le conseguenze che tali non adeguati livelli di servizio causerebbero (esternalità negative).
Quanto costeranno sul bilancio pubblico in futuro questi “nuovi” costi?
E’ necessaria una valutazione degli impatti con un approccio olistico che tenga conto di un orizzonte più ampio sia temporale sia inerente le ricadute dirette e indirette che le “naturali” conseguenze di un approccio penalizzante per le imprese del settore porterebbe. E’ arrivato il momento di bilanciare gli sforzi che le aziende e in parte i lavoratori possono sopportare con gli sforzi di una sana programmazione e gestione dei bilanci pubblici.
Da un lato dobbiamo mettere sotto controllo la spesa pubblica, dall’altro dobbiamo poter aumentare il PIL cioè il fatturato complessivo del sistema Italia e tutelare (per quanto e come possibile) il benessere e la salute dei cittadini. Abbiamo più di un problema.