Milano, 10/05/2020 – Più che una semplice pausa pranzo con i colleghi, sembrerà una procedura che ricorda il check-in per prendere un aereo. Questa sarà molto probabilmente la realtà che molti italiani affronteranno nei prossimi mesi. Con le progressive riaperture, molti impiegati si ritroveranno infatti alle prese con l’esigenza di pranzare fuori casa, ma con modalità totalmente diverse rispetto all’organizzazione dei servizi pre-pandemia. E non solo per l’esigenza di assicurare il distanziamento tra le persone, per l’obbligo di utilizzo delle mascherine e per le perenni procedure di sanificazione. Dalla scelta anticipata del menù quotidiano tramite intranet aziendale o app dedicata, alla prenotazione del posto a sedere in mensa, «che sarà numerato come accade per i sedili degli aerei in modo da poter tracciare a ritroso i contatti di ogni addetto nel caso fosse necessario», spiega Renato Spotti, amministratore delegato di Dussmann Service, società italiana del gruppo multinazionale tedesco leader mondiale nella fornitura di servizi integrati nel settore sanitario, aziendale, scolastico e militare. Dall’organizzazione dei turni in mensa per gruppi omogenei, in modo da non diffondere eventuali infezioni tra i reparti, all’assegnazione dei tavoli a singoli uffici. Dalla pianificazione del servizio su più turni, alla presenza di pareti in plexiglass per contrastare la diffusione del virus e la contaminazione. Una serie di modalità che in parte sono già state sperimentate nelle mense ospedaliere e delle attività che sono rimaste operative anche nella fase di lockdown, nel corso della quale i gruppi che si occupano di ristorazione collettiva hanno cominciato a testare orari di funzionamento della mensa più ampi, servizio dei vassoi direttamente al tavolo, utilizzo di menù semplificati e impiego di contenitori monouso riciclabili. «Nelle ultime settimane abbiamo imparato che possiamo vivere la pausa pranzo in maniera diversa», conferma Fabrizio Pedrazzini, vicedirettore generale di Pellegrini, realtà italiana di riferimento nel mercato della ristorazione collettiva e dei servizi dedicati alle aziende. «Abbiamo scoperto che non necessariamente si deve pranzare seduti al tavolo vicini, ma che si può consumare un pasto caldo anche al desk, a domicilio per chi lavora in smart working, fuori ufficio per chi sceglie di farsi preparare una lunch box, in una saletta allestita dall’azienda o in molti altri contesti». In questa situazione, «noi ci siamo subito attrezzati con un protocollo operativo frutto della collaborazione con il professor Roberto Burioni e del supporto della società Lifenet Healthcar, con regole e raccomandazioni specifiche per il Coronavirus», spiega Pedrazzini. «Dal punto di vista operativo abbiamo inoltre avuto in queste settimane un’importante esperienza con una società primaria di crociera, per la quale abbiamo preparato quotidianamente oltre 2mila pasti nel nostro centro cottura di Milano, per poi trasportarli tutti i giorni a Genova dove le navi erano ferme in quarantena o, comunque, con il personale a bordo». Un’esperienza utile per i prossimi mesi, quando l’ambito della ristorazione collettiva, che oggi opera circa al 50% dell’attività originaria, funzionerà a ritmi più alti. Ma non certo ai volumi pre emergenza. Anche quando riapriranno scuole e uffici, «il nostro settore dovrà fare i conti con il calo dei ricavi e l’aumento dei costi, si serviranno meno pasti e si dovrà spendere di più per sanificazione e disinfezione», sottolinea Renato Spotti, aggiungendo che quello della ridefinizione dei costi sarà «un tema centrale da affrontare con i committenti». Aspetti per i quali l’Italia fa ancora una volta da battistrada in Europa. «Il nostro gruppo è presente in 17 Paesi, e le altre sedi guardano con interesse a ciò che succede qui perché, come accaduto con la pandemia, siamo pionieri nell’adozione delle nuove misure», conclude Spotti.
Fonte: Libero