Tratto da Lavori Pubblici
Un’amministrazione aggiudicatrice può escludere un operatore economico da una procedura con doppio oggetto, comprendente da una parte la costituzione di una società a capitale misto pubblico-privato e dall’altra, l’aggiudicazione a questa stessa società di un appalto pubblico di servizi, in ragione del superamento della partecipazione al capitale della società e sempre che ciò determini un aumento del rischio economico a carico della stessa amministrazione aggiudicatrice.
Appalti a società miste: i limiti di partecipazione
Lo ha stabilito il Consiglio di Stato con la sentenza del 17 ottobre 2023, n. 9034, respingendo l’appello di una società partecipata, il cui capitale del Comune superava il limite del 30% previsto dal d.Lgs. n. 175/2016, motivo per cui era stata esclusa dalla procedura per l’affidamento del servizio integrato.
La questione era stata anche rimessa alla Corte di Giustizia dell’Unione europea che, con sentenza del 1° agosto 2022 (causa C-332/20), ha risposto dichiarando che:
“1) L’articolo 58 della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, come modificata dal regolamento delegato (UE) 2017/2365 della Commissione, del 18 dicembre 2017, deve essere interpretato nel senso che un’amministrazione aggiudicatrice può escludere un operatore economico dalla procedura volta, da un lato, a costituire una società a capitale misto e, dall’altro, ad aggiudicare a tale società un appalto pubblico di servizi, qualora tale esclusione sia giustificata dal fatto che, a causa della partecipazione indiretta di tale amministrazione aggiudicatrice al capitale di tale operatore economico, la partecipazione massima della suddetta amministrazione aggiudicatrice al capitale di detta società, così come stabilita dai documenti di gara, sarebbe di fatto superata se questa stessa amministrazione aggiudicatrice scegliesse il suddetto operatore economico come proprio socio, a condizione che un simile superamento comporti un aumento del rischio economico a carico della stessa amministrazione aggiudicatrice.
2) L’articolo 38 della direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, come modificata dal regolamento delegato (UE) 2017/2366 della Commissione, del 18 dicembre 2017, deve essere interpretato nel senso che un’amministrazione aggiudicatrice può escludere un operatore economico dalla procedura volta, da un lato, a costituire una società a capitale misto e, dall’altro, ad aggiudicare a tale società una concessione di servizi, qualora tale esclusione sia giustificata dal fatto che, a causa della partecipazione indiretta di tale amministrazione aggiudicatrice al capitale di tale operatore economico, la partecipazione massima della suddetta amministrazione aggiudicatrice al capitale di detta società, così come stabilita dai documenti di gara, sare be di fatto superata se questa stessa amministrazione aggiudicatrice scegliesse il suddetto operatore economico come proprio socio, a condizione che un simile superamento comporti un aumento del rischio economico a carico della stessa amministrazione aggiudicatrice”.
Consiglio di Stato: legittima l’esclusione di una società partecipata oltre il 30%
Sulla base della sopravvenuta decisione della Corte di giustizia UE, il Consiglio ha respinto il ricorso. Questo perché vale il principio secondo cui un’amministrazione aggiudicatrice può escludere un operatore economico da una procedura “a doppio oggetto”, volta da un lato a costituire una società a capitale misto e, dall’altro, ad aggiudicare a tale società un appalto pubblico di servizi, qualora tale esclusione sia giustificata dal fatto che, a causa della partecipazione indiretta di tale amministrazione aggiudicatrice al capitale di tale operatore economico, la partecipazione massima della prima al capitale di detta società, così come stabilita dai documenti di gara, sarebbe di fatto superata ove scegliesse il suddetto operatore economico come proprio socio.
Questa conclusione è comunque subordinata alla condizione che “un simile superamento comporti un aumento del rischio economico a carico della stessa amministrazione aggiudicatrice”.
In questo caso, l’amministrazione aveva a più riprese evidenziato, come gli atti di gara presupponessero la necessaria natura “terza” del socio privato: già la stessa delibera che autorizzava l’indizione della gara indicava quale presupposto per la costituzione della nuova società mista che “la quota di partecipazione del soggetto privato non può essere inferiore al trenta per cento”, coerentemente con la previsione dell’art. 17, d.lgs. n. 175 del 2016.
Sul punto il Consiglio ha sottolineato che l’art. 17 del d.lgs. n. 175/2016 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica), nel prevedere che “Nelle società a partecipazione mista pubblico-privata la quota di partecipazione del soggetto privato non può essere inferiore al trenta per cento e la selezione del medesimo si svolge con procedure di evidenza pubblica a norma dell’articolo 5, comma 9, del decreto legislativo n. 50 del 2016 e ha a oggetto, al contempo, la sottoscrizione o l’acquisto della partecipazione societaria da parte del socio privato e l’affidamento del contratto di appalto o di concessione oggetto esclusivo dell’attività della società mista”, mira non solo ad assicurare all’amministrazione un effettivo (e dunque utile) apporto tecnico-professionale dell’operatore economico privato, ma pure a predeterminare in modo netto l’impegno finanziario pubblico.
Quantificazione dell’impegno pubblico e del rischio economico
Il socio privato deve infatti essere operativo e non un mero socio di capitale, stante la specificità del ruolo che deve assumere nell’attuazione dell’oggetto sociale: del resto, il coinvolgimento del socio privato per il perseguimento di fini di interessi generali si giustifica proprio per la carenza in seno alla amministrazione pubblica delle competenze necessarie di cui ha la disponibilità il socio privato.
La partecipazione del socio privato operativo deve essere adeguata, idonea cioè a rendere possibile l’attuazione dell’oggetto sociale; tale adeguatezza è stata fissata dal legislatore nazionale, proprio ai fini del rispetto dei principi eurounitari, nella soglia minima di partecipazione del 30%. Sul fronte dell’impegno economico ciò si traduce nella ricerca di capitale privato “terzo”, ossia nella netta e definitiva separazione tra l’onere finanziario assunto ab initio dall’amministrazione ed il rischio imprenditoriale del privato, che verrebbe potenzialmente (e progressivamente) annullato in presenza di una ulteriore partecipazione indiretta della parte pubblica del capitale della società mista, per effetto della contestuale partecipazione della prima al capitale sociale del partner operativo.
In breve, la quota della società posseduta dal Comune finirebbe per attribuire al medesimo ente pubblico un’assunzione dei rischi che lo stesso – proprio per il tramite del ricorso al mercato – intendeva invece affidare ad un privato “terzo”.
Va ribadito – fermi ovviamente i limiti di legge – che l’amministrazione può decidere, nel concreto esercizio della propria precipua funzione di tutela dell’interesse pubblico, qual è il livello massimo del rischio finanziario o economico che intende assumere, fissando delle soglie di partecipazione al capitale della costituenda società mista. Si tratta di una valutazione che, in quanto espressione di eminente discrezionalità tecnica, può essere sindacata dal giudice amministrativo limitatamente al riscontro del vizio di illegittimità per violazione delle regole procedurali e di quello di eccesso di potere per manifesta illogicità, irrazionalità, irragionevolezza, arbitrarietà, ovvero se fondata su di un altrettanto palese e manifesto travisamento dei fatti.
Di conseguenza, è onere della parte avversa dimostrare l’evidenza di questi vizi, cosa che nel fatto in esame non è avvenuta.
Il ricorso della società è stato quindi respinto: è corretta l’affermazione secondo cui “nulla vieta all’amministrazione, nella spendita della sua discrezionalità e nel rispetto dei limiti segnati dalla normativa generale, di congegnare il modulo secondo le sue concrete esigenze, come dettate dal superiore interesse pubblico legato allo svolgimento del servizio e al contenimento del rischio di capitale”.