Venerdì scorso il Consiglio dei Ministri ha approvato – in esame preliminare – il nuovo Codice degli appalti. Il Vicepresidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini ha espresso la propria soddisfazione. È stato rispettato l’obiettivo di semplificare, velocizzare, sburocratizzare, con grande attenzione per i Comuni, soprattutto quelli più piccoli. È stata innalzata la soglia dell’affidamento di lavori, su indicazione del Consiglio di Stato, per aiutare le piccole e medie stazioni appaltanti. Con la nuova norma – secondo le previsioni del governo – più dell’80% degli appalti oggi in essere avrebbe potuto essere più veloce.
Il nuovo Codice degli Appalti porterà ad una netta semplificazione delle procedure relative agli appalti pubblici di beni e servizi rendendole nel contempo più veloci e con l’inserimento di alcuni articoli con l’intento di tutelare le imprese da aumenti di costi non prevedibili soprattutto legati al caro energia e all’aumento straordinario delle materie prime.
In buona sostanza viene messo al centro del nuovo impianto normativo il principio della “conservazione dell’equilibrio contrattuale” di cui all’art. 9 della bozza.
Si tratta in particolare di disposizioni assai attese per gestire la delicata e controversa questione della rinegoziazione dei contratti stipulati prima dell’introduzione della clausola revisionale obbligatoria.
Si prevede che “1.) Se sopravvengono circostanze straordinarie e imprevedibili, estranee alla normale alea, all’ordinaria fluttuazione economica e al rischio di mercato e tali da alterare in maniera rilevante l’equilibrio originario del contratto, la parte svantaggiata, che non abbia volontariamente assunto il relativo rischio, ha diritto alla rinegoziazione secondo buona fede delle condizioni contrattuali. Gli oneri per la rinegoziazione sono riconosciuti all’esecutore a valere sulle somme a disposizione indicate nel quadro economico dell’intervento, alle voci imprevisti e accantonamenti, e, se necessario, anche utilizzando le economie da ribasso d’asta. 2.) Nell’ambito delle risorse individuate al comma 1., la rinegoziazione si limita al ripristino dell’originario equilibrio del contratto oggetto dell’affidamento, quale risultante dal bando e dal provvedimento di aggiudicazione, senza alterarne la sostanza economica. 3.) Se le circostanze sopravvenute di cui al comma 1 rendono la prestazione, in parte o temporaneamente, inutile o inutilizzabile per uno dei contraenti, questi ha diritto a una riduzione proporzionale del corrispettivo, secondo le regole dell’impossibilità parziale.
4.) Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti favoriscono l’inserimento nel contratto di clausole di rinegoziazione, dandone pubblicità nel bando o nell’avviso di indizione della gara, specie quando il contratto risulta particolarmente esposto per la sua durata, per il contesto economico di riferimento o per altre circostanze al rischio delle interferenze da sopravvenienze”.
La nuova norma dispone che le clausole si attivino al verificarsi di una variazione del costo superiore a una certa soglia (ancora da definire) dell’importo complessivo e operino in una misura (anch’essa da definire) della variazione stessa del costo. Mancano tuttavia ancora percentuali e norme di dettaglio per poter concludere una valutazione sull’efficacia delle norme, che tentano di recepire in buona parte il modello francese (caratterizzato da automatismi e linearità/rapidità applicativa).
Una giusta indiscutibile direzione ma con ancora aspetti di sostanza da definire che – se non adeguatamente centrati – annacquerebbero l’impianto legislativo diminuendone il concreto impatto positivo.
Completa il quadro normativo la previsione di cui all’art. 60 dedicata alla “revisione prezzi”, che conferma l’obbligo di inserimento delle relative clausole in continuità con quanto previsto dall’art. 29 del DL Sostegni-ter (DL 4/2022).
Evidente anche lo sforzo del legislatore di ridurre l’attuale “enciclopedia legislativa” al riguardo: nonostante la nuova Bozza contenga 10 articoli in più (230) rispetto al d.lgs. 50/2016 tutt’ora vigente, che ne presenta 220, le parole totali però sono decisamente inferiori: oltre 91mila contro le oltre 131mila (esclusi gli allegati) del d.lgs. 50/2016, riducendo il numero dei commi e la relativa lunghezza. Si prevedono “solo” 35 allegati che peraltro assorbiranno i 47 «annessi» delle tre direttive comunitarie da attuare, le 17 linee guida ANAC e i 15 regolamenti ancora vigenti, alcuni dei quali di dimensioni molto ampie (per i contratti del Ministero della difesa, i 100 articoli si sono ridotti a poco più di 10).
Vi sono altri importanti passaggi nella bozza di testo che per brevità qui tralascio.
Al netto di diversi aspetti ancora da definire dobbiamo considerarla una buona notizia per il settore del Facility Management (FM), ad alto impatto occupazionale, che sconta non poche problematiche anche se con pesi differenti per singolo settore.
Nel caso della ristorazione collettiva il problema assume note drammatiche: l’associazione di categoria ANGEM (Associazione Nazionale della ristorazione collettiva e servizi) aderente a Confcommercio ha presentato recentemente un rapporto a dir poco allarmante.
Il rapporto mostra che nel 2020 le imprese del comparto hanno visto un calo dei profitti del 40% diviso fra mense scolastiche e aziendali con un rispettivo -63% nel primo caso e -43% nel secondo. Le stime prevedono una spesa di 220 milioni di euro in più per l’elettricità e 126 milioni di euro più per il gas per le imprese del settore. Costi che metteranno in ginocchio le aziende.
Così come ANIR Confindustria – Associazione Nazionale delle Imprese della Ristorazione Collettiva e Alleanza delle Cooperative Italiane Servizi (Agci Servizi, Confcooperative Lavoro e Servizi, Legacoop Produzione e Servizi) che hanno sottolineato in una recente conferenza stampa presso la Camera dei deputati come il continuo disinteresse delle istituzioni nei confronti di questo comparto lascia presagire, a breve, il collasso di un intero settore, con forti implicazioni sociali e sul mondo del lavoro, visto che oggi rappresenta 1.500 aziende per una platea di circa 110mila addetti e un fatturato complessivo di 6,5 miliardi.
Il nuovo Codice deve essere approvato, nel quadro delle c.d. riforme “abilitanti” previste dal PNRR, entro il 31 marzo 2023.
I tempi sono quindi molto stretti: dopo questa prima approvazione del Consiglio dei ministri, è previsto l’invio alle commissioni parlamentari per il parere (30-45 giorni), poi la seconda approvazione del Consiglio dei ministri, la firma del Capo dello Stato e la vacatio legis.
Una fretta (si fa per dire) che non deve in nessun modo lasciarsi scappare la possibilità di miglioramenti al testo in bozza conosciuto e una particolare attenzione agli aspetti ancora da definirsi.
Il mercato del FM in Italia vale 2,6 miliardi di euro (2021) e conta circa 2.500 imprese che occupano circa 30.000 addetti (dati Cerved), un pezzo importante della nostra economia che eroga servizi primari per la salute dei cittadini quali pulizie e erogazioni pasti all’interno delle strutture ospedaliere ma non solo: capace anche con le necessarie competenze e dotazioni tecniche e organizzative di servire comparti industriali importanti quali il farmaceutico e l’alimentare e l’aereospaziale.
Non quindi un “fratello di un dio minore” ricordando il celebre film basato sull’omonima opera teatrale del 1980 di Mark Medoff. A proposito la protagonista Marlee Matlin è realmente sorda e ricevette il premio Oscar nel 1987 come migliore attrice per la sua interpretazione.
Vedere lontano, in questo caso, è fondamentale.