“Non sappiamo più dove metterle. Solo dall’inizio dell’anno scolastico abbiamo oltre 50mila mascherine di Stato accumulate negli scantinati, nei magazzini, in ogni angolo. Finalmente non me ne manderanno più, ma ora scriverò una mail ogni giorno a Figliuolo perché venga a ritirare i pacchi che abbiamo qui dall’anno scorso”.
Lancia così un appello la preside Amanda Ferrario dell’Istituto Tosi di Busto Arsizio per segnalare il problema e fare la sua parte nel cercare di fermare lo spreco di denaro statale sulle mascherine.
All’Istituto Tosi venivano inviate 10.000 mascherine alla settimana per i 2500 studenti che lo frequentano. Il problema, però, è la scarsa qualità dei dispositivi che hanno portato gli studenti a rifiutare le mascherine di stato e procurarsi dispositivi di maggiore qualità in autonomia. In questo modo le mascherine di stato sono rimaste inutilizzate riempiendo così di scatoloni i corridoi dell’edificio e diventando un intralcio per le normali attività scolastiche. “Io stessa le ho provate. Sono decisamente fastidiose. Anche quelle con l’elastico che si può mettere dietro la nuca sono pessime e si rompono subito. Come pubblico ufficiale continuo a distribuirle ma i ragazzi non le vogliono e li capisco” racconta la preside Ferrario ai giornalisti.
Le mascherine di stato, chiamate spesso ironicamente dagli studenti ‘pannolini’ per via del materiale di cui sono fabbricate, sono frutto di un appalto da undici milioni di dispositivi che è stato firmato da Domenico Arcuri durante l’emergenza sanitaria. Dopo che Arcuri fu sostituito con il generale Figliuolo ormai il contratto era già valido e non era più revocabile.
‘Si continuano a buttare soldi e a danneggiare l’ambiente. Forse – consiglia Ferrario – sarebbe stato meglio dare un contributo alle famiglie affinché acquistassero loro i dispositivi. A questo punto, si fermi questo spreco di denaro e lo si usi magari per quei bambini che nemmeno hanno i soldi per venire in mensa o acquistare i libri alla secondaria”.