Dopo la pandemia e il ricorso allo smart working, il format tradizionale della ristorazione aziendale è chiamato a un cambio di paradigma. Ma quali sono i trend da seguire? Lo abbiamo chiesto a Emanuele Gnemmi, manager dell’omonima azienda di consulenza: «Il prodotto fa sempre la differenza»
Il prodotto al centro di un nuovo format di servizio
«Mi occupo di ristorazione da 30 anni e ho maturato la convinzione che, oggi, gusto e ricette salutari con pochi grassi, poco sale e un’attenzione alle proteine vegetali sia essenziale per offrire una risposta alle esigenze nutrizionali delle persone», spiega Gnemmi. Punto fondamentale, quindi, è stato il prodotto: «In mensa le persone mangiano tutti i giorni e si aspettano di trovare referenze di alta qualità utili non solo per la pausa pranzo ma anche per una cena veloce a casa, di ritorno dal lavoro», aggiunge Gnemmi. Da qui la necessità di rivedere anche il format di servizio. Processo su cui ha impattato anche l’emergenza sanitaria e il ricorso allo smart working: «Nel giro di pochi mesi siamo passati da 1.500 coperti a 200 al giorno. Per rendere sostenibile il modello di business, quindi, abbiamo deciso di aprirci anche all’esterno, a un’utenza diversa da quella aziendale contaminandoci con la ristorazione commerciale. Tanto che, a Natale 2020, forti della nostra offerta, siamo riusciti a distribuire oltre cinquemila vaschette», racconta Gnemmi. Detto diversamente, in otto mesi di lavoro, oltre al restyling fisico della mensa si è riusciti a raggiungere l’obiettivo di mettere in piedi un nuovo modello di servizio.
Lo smart working non fa paura, ma i capitolati merceologici vanno rivisti
D’altronde, se lo smart working è arrivato per restare (almeno in parte) nelle organizzazioni aziendali, anche la tradizionale mensa si deve evolvere: «La facilitazione del servizio è la chiave dell’evoluzione delle mense. Il canale di distribuzione non deve essere un ostacolo. Può avvenire tramite delivery o self service attraverso una vending machine. Ovviamente, per riuscirci è necessario ripensare anche il modo in cui vengono costruiti i capitolati merceologici togliendo, piuttosto che aggiungendo, referenze così da rendere più sostenibile, anche da un punto di vista economico, il servizio stesso», afferma Gnemmi.
Essenziale coinvolgere le professionalità presenti per cambiare il paradigma culinario
A questo, poi, va aggiunta una revisione a livello nutrizionale. «Grazie all’aiuto di una nutrizionista e di attrezzature all’avanguardia si possono ottenere risultati sorprendenti in termini di qualità di prodotto dando fondo alle professionalità già presenti in azienda. Coinvolgendole in un percorso di formazione ad hoc si possono cambiare abitudini di cucina datate per lasciare spazio a nuovi processi di lavorazione. Il tutto per la gioia del consumatore finale. Quest’ultimo, poi, va inserito all’interno di un percorso in cui nulla è lasciato al caso. Le vecchie isole self-service, per esempio, andrebbero riviste affinché il piatto nel vassoio alla fine risulti equilibrato», spiega Gnemmi. Ecco allora che il futuro delle mense aziendali sembra tracciato: grazie all’ibridazione con la ristorazione commerciale, infatti, c’è la possibilità di fare uno scatto in avanti e dar vita a nuovi format al passo con i tempi e le esigenze post-Covid. A patto di sapersi aprire al cambiamento.
Fonte: Italia a tavola