Mense e biologico, il prezzo basso è una minaccia o un’opportunità?

Con il decreto Semplificazioni, la ristorazione collettiva ha festeggiato lo stralcio del massimo ribasso. Vittoria o mancata opportunità? Pierguido Maestro: «Per il prodotto biologico sarebbe un agevolazione». Il prezzo, infatti, rappresenta il 30% del punteggio nei bandi di gara e, a pari qualità rappresenterebbe l’elemento decisivo per la scelta finale.

Con il nullaosta sul decreto Semplificazioni, arriva un’importante novità per il settore della ristorazione collettiva: nessun massimo ribasso. La norma, inizialmente prevista dal testo, è stata stralciata per la gioia del comparto delle mense che, come ha ricordato Anir-Confindustria, ha un mercato pubblico pari al 70%. «Per noi, che abbiamo quasi tutto il costo del lavoro per impiegati e lavoratori, significa poter garantire sempre di più qualità e sicurezza nei pasti che forniamo a intere comunità di lavoratori e studenti. Bene anche le norme che introducono criteri di premialità nelle gare per chi promuove l’imprenditoria giovanile, la parità di genere e l’assunzione di giovani, con meno di 36 anni e donne. Abbiamo davanti sfide importanti per far risollevare un settore strategico per il paese che è stato duramente colpito: le aziende devono avere strumenti e possibilità di scelta ora», ha affermato il presidente Massimiliano Fabbro.

Pierguido Maestro (Ecomarket Srl): «Il massimo ribasso potrebbe funzionare per il prodotto biologico»

Ma il massimo ribasso è davvero la “bestia cattiva” che tutti descrivono? Forse no a sentire Pierguido Maestro, presidente e amministratore delegato di Ecomarket Srl: «Per quanto riguarda la fornitura di un prodotto e non di un servizio nel mercato biologico in linea teorica il meccanismo del massimo ribasso avrebbe potuto rappresentare uno strumento di maggiore competitività per le aziende fornitrici che partecipano ai bandi di gara con le stazioni appaltanti oppure che riforniscono le società della ristorazione collettiva».

Un 2020 da dimenticare, si salva solo l’e-Commerce

Per capire le ragioni di questa posizione, però, bisogna contestualizzare il discorso e la storia di Ecomarket. L’azienda nasce nel 1999 con l’obiettivo di portare nelle mense il prodotto biologico attraverso la collaborazione con le aziende della ristorazione collettiva oppure con realtà come Ikea in cui l’offerta ristorativa si affianca a una marcatamente retail. «In questi anni siamo cresciuti e abbiamo diversificato i nostri interessi arrivando a costituire anche una società gemella che si occupa di B2C. Purtroppo, come tutti gli altri player del settore, abbiamo accusato il colpo della pandemia chiudendo il 2020 con un fatturato in calo del -62% a causa della chiusura dei punti ristorazione Ikea e dell’andamento a singhiozzo delle attività scolastiche. Viceversa, abbiamo avuto buoni riscontri dal canale e-Commerce; anche se i volumi non sono bastati per coprire le perdite su altri fronti», racconta Maestro.

Il prezzo come criterio per scegliere tra offerte di pari qualità

Situazioni che, in ogni caso, non possono far venir meno la qualità del prodotto biologico. Una carta da giocare in più in questa fase di transizione che avvicina le aziende al ritorno alla normalità. E in cui il possibile massimo ribasso avrebbe potuto rappresentare un’ulteriore spinta per la competitività. In che modo? «Il prodotto biologico, a rigor di norma, è tracciato e certificato da enti appositi. Se tutto funzionasse bene, la domanda dell’ente appaltatore non dovrebbe aver difficoltò a rintracciare sul mercato quei prodotti biologici che rispondono alla richiesta del bando. E il criterio del prezzo diverrebbe davvero derimente per la scelta finale. Con un relativo consistente risparmio per la pubblica amministrazione», spiega Maestro. Insomma, a parità di certificazione (e di qualità) del prodotto, sembra logico che la differenza la faccia il prezzo.

I limiti degli attuali bandi di gara

Peccato che, nella pratica, non sia così. Ed è qui che scatta il cortocircuito a causa di sistemi complicati che, alla fine, lasciano spazio alla discrezionalità: «In una gara d’appalto per la fornitura del prodotto biologico, il prezzo vale solo il 30% del punteggio finale mentre la qualità il 70%. E qui il rischio è che si creino dei meccanismi poco premiali nel momento in cui vengono assegnati in modo soggettivo e a volte arbitrario punti sulla qualità, ad esempio in alcune gare dati più punti al produttore rispetto al distributore senza che questo si rifletta in beneficio reale per l’ente appaltante, non recuperabili neanche da consistenti ribassi con danno per tutti glia attori coinvolti. Da genitore, mi stupisco di quanto, a volte, siano fatti male i menu o quanti soldi potrebbero essere risparmiati negli appalti scolastici.  A questo si aggiunga come in questo settore lo spreco arriva fino al 35% di quanto servito», afferma Maestro.

Per una maggiore qualità serve un ente super partes

Da qui, quindi, la necessità di lavorare maggiormente sulla qualità del prodotto biologico. «Oggi, per esempio, si dà molta importanza al Km Zero, ma cosa significa? Che distanza copre questo concetto? E soprattutto: è sostenibile da un punto di vista distributivo? Il rischio che si corre è che chi si rifornisce dal piccolo agricoltore o allevatore indipendenti non riesca a rispettare le quantità di prodotto richiesto e si debba, successivamente, rivolgere al prodotto convenzionale per sopperire alle mancanze facendo quindi venir meno il motivo per cui, magari, ha vinto il bando». Discorso simile si può fare anche per il biologico tout court: «Detto che tutti gli enti certificatori del prodotto biologico lavorano in modo serio, servirebbe uno scatto in più affinché questa serietà fosse riconosciuta anche da terzi. Magari con un ente super partes che garantisse la qualità di tutta la filiera», conclude Maestro.

Fonte: Italia a tavola