Sono la spina dorsale di un settore «invisibile» e determinante nella lotta contro il Covid, un comparto legato alla sanità pubblica che sta sprofondando in un abisso «al massimo ribasso». E a toccare il fondo è la vita delle persone che ci lavorano e la qualità del servizio offerto agli ospedali. È una fotografia delle storture italiane quella che si ricava guardando da vicino le lavanderie industriali del settore sanità: quasi 18mila addette al servizio degli ospedali nella sterilizzazione degli attrezzi (ferri chirurgici) e nel lavaggio e sterilizzazione della biancheria dalle lenzuola delle terapie intensive Covid passando per i camici e le divise di medici, infermieri e soccorritori del 118. Un settore in cui sono impiegate quasi tutte donne che fanno un lavoro «infernale» tra temperature elevatissime, vapori, prodotti chimici e – oggi più che mai un’organizzazione del lavoro che fa sempre più a pugni con i tempi di vita. Il problema sono gli appalti all’ultimo sangue (pardon, ribasso) in cui si trovano a competere multinazionali quotate in borsa come Servizi Italia – oggi al centro di una riorganizzazione che ha acceso le luci sul settore con la chiusura della sede di Piacenza, in prima fila nel fronteggiare l’ondata pandemica in Emilia, a Codogno e Lodi – e aziende prive di strumenti capaci di offrire però ingenti risparmi al pubblico. Che chiude un occhio. Inevitabile che nel settore si sia registrata l’infiltrazione della criminalità come nel caso dell’American Laundry di Napoli, colpita da interdittiva antimafia ed estromessa dagli ospedali della Campania a ridosso dell’emergenza sanitaria. Nelle lavanderie industriali lavorano circa 35mila addetti in Italia con 4,2 miliardi di fatturato. Di questa torta, la metà è rappresentata dalle lavanderie al servizio della sanità. Ed proprio qui che le contraddizioni sono scoppiate come una bomba, da febbraio in poi, a causa del Covid e degli strascichi delle gare di appalto di Regioni come Lombardia ed Emilia-Romagna. La rincorsa al ribasso su base d’asta arriva fino al 70% per la biancheria ospedaliera. Da qui, redditività risibile e riorganizzazioni aperte nel settore con centinaia di lavoratrici messe nelle condizioni di turni massacranti o licenziamenti mascherati da «trasferimenti». Uno dei big player, Servizi Italia, a Piacenza chiude bottega dopo 20 anni e trasferisce i 58 dipendenti (45 donne) a 50 chilometri di distanza, a Soragna (Parma). La holding quotata al segmento Star di Borsa Italiana e leader nel mercato dell’outsourcing di servizi ospedalieri in Italia, Brasile, Turchia, India, Albania, Marocco e Singapore, conta 2mila dipendenti in Italia e nei giorni scorsi ha informato i sindacati della volontà di chiudere, entro il 31 dicembre 2020, lo stabilimento di Podenzano (Piacenza) perché i volumi di lavoro – mai così alti – verranno spostati a Castellina di Soragna (65%) e Genova (35%). E a Castellina, provincia di Parma, verranno spedite le addette piacentine «che dovranno rinunciare al part-time e accollarsi 100 chilometri per andare a lavorare hanno spiegato Massimo Tarenchi, Filctem Cgil di Piacenza, e Massimo Pelizzari, Femca Cisl. «Il sistema degli appalti al massimo ribasso stritola i diritti del lavoro e ‘scaccia’ la moneta buona per quella cattiva. Qui a Piacenza – spiegano Tarenchi e Pelizzari – facciamo i conti con il trasferimento di donne con contratti part-time, a cui viene chiesto di estendere l’orario settimanale a 40 ore e un tragitto casa-lavoro di 10-12 ore al giorno. Molte di loro non possono accettare il trasferimento e dovranno lasciare il lavoro, anche dopo 20 anni di servizio». Crisi di “volumi”, ossia di lavoro, nel settore non ce n’è, come spiega Mauro Casola della Filctem Cgil nazionale. «In questo settore è successo di tutto – spiega – vediamo appalti vinti da aziende senza strumentazione, lavoratori costretti a indossare pezzi di stoffa come mascherine e ribassi folli sulla base d’appalto, un omesso controllo delle stazioni appaltanti. Basta chiedere agli ospedali a cosa hanno portato questi ribassi. Pur di risparmiare, si sta affidando parte del settore ad aziende che non possono garantire la qualità del servizio. Il risultato? Le segnalazioni di lenzuola ancora sporche di sangue consegnate agli ospedali o quelle rispetto alla sterilizzazione dei ferri. Così andiamo a sbattere, così si va a sbattere».
Fonte: Il Manifesto