MILANO, 10/01/2020 – Parliamo di gestione di risorse ambientali, che è il vostro core business, uno degli snodi dello sviluppo sostenibile, almeno per quanto riguarda la parte ambientale. Come si concretizza la vostra azione? Il 90% del nostro business è legato all’energia: andiamo a incidere cercando di farne un utilizzo più responsabile e più sostenibile; cioè ridurre di fatto il consumo e il fabbisogno energetico, e quindi l’emissione di CO2. In che modo interveniamo? Da un lato proprio sugli impianti, rinnovandoli, ristrutturandoli o facendone di innovativi, perché la stessa evoluzione che c’è sugli aerei di nuova generazione avviene anche sugli impianti. Questo senza necessariamente parlare di rinnovabili, anche solo gli impianti di generazione tradizionale hanno avuto un’evoluzione incredibile negli ultimi anni. Consentono infatti un utilizzo inferiore dei carburanti, oltre ovviamente al passaggio che c’è stato dal carbone al gas, che è una fonte più sostenibile. Attraverso la digitalizzazione è stato poi possibile un’ulteriore evoluzione perché andando a verificare i consumi in maniera più puntuale (quasi real time) si riesce a incidere sul vero fabbisogno in maniera più puntuale. È cosi che otteniamo riduzioni che vanno dal 15 al 20% di utilizzo. Stessa cosa sull’acqua, che è una buona area di business per noi, con Veolia che tradizionalmente è specializzata su questo business. Anche l’utilizzo dell’acqua è un campo in cui in Italia si può fare tantissimo ma dove oggi c’è un’attenzione relativa. Questo, a differenza dell’energia: saremo anche tra i migliori nella produzione e nella distribuzione ma il nostro è anche uno dei Paesi dove l’energia ha un costo maggiore, e quindi c’è effettivamente un’attenzione maggiore del legislatore per andare a ridurre i consumi. Sull’acqua non è così. Abbiamo un rapporto tra Italia e Europa di 1 a 5: qui l’acqua costa molto poco, anche se abbiamo una rete infrastrutturale praticamente disastrosa, nonostante investimenti significativi (parliamo di miliardi) che vengono approvati ma che poi fanno fatica a essere messi a terra. Il nostro contributo, anche in questo caso, è andare a ridurre i consumi gli sprechi e incidere sulle infrastrutture. C’è un altro settore che interessa molto la vostra azienda, che è quello della gestione di rifiuti specifici. Su questo cosa state facendo, e cosa si può fare? Il tema dei rifiuti in Italia è sempre molto dibattuto. Siram Veolia intende andare sui rifiuti che sono più specifici, appunto, quelli legati all’industria, ai reparti ospedalieri e ai rifiuti dalle acque. In questo ultimo caso mi riferisco a un tema estremamente interessante come quello dei fanghi, che vengono generati dagli impianti di depurazione e che devono essere gestiti e smaltiti. Oggi anche in questo campo vediamo una difficoltà autorizzativa e processi amministrativi per gestire queste tipologie di rifiuti che stanno diventando importanti, e noi intendiamo dare il nostro contributo. Voi accompagnate sia le imprese sia gli enti pubblici verso l’economia circolare, create dei percorsi che possano facilitare la transizione. Cosa fate da questo punto di vista e cosa cambia tra pubblico e privato? Che problemi peculiari si verificano nei due settori? Ci sono problemi ma ci sono anche opportunità, naturalmente. Sono sicuramente soggetti estremamente diversi tra loro. Il privato oggi è molto attento alla performance, quindi quando chiede un contributo vuole un tempo di reazione molto rapido ed è più attento a valutare e misurare: quanta efficienza mi porti, quanta riduzione di costi ha portato il tuo contributo? È anche molto attento al tema della sostenibilità: osserviamo sempre più spesso che non ci sono solo istituzioni e industria, c’è anche la comunità. La comunità dei consumatori, per la precisione, che sta andando sempre di più verso un giudizio, un’analisi dell’acquisto che prevede anche la valutazione dell’impatto ambientale di ciascun prodotto; quindi di conseguenza le aziende sempre di più diventeranno attente a fare prodotti sostenibili e rispettosi dell’ambiente. Per poterlo fare, però, hanno bisogno di misurare l’impatto ambientale. Cosa che oggi non è ancora una realtà. Per questo stiamo lavorando a un servizio, uno strumento che certifica l’impronta sostenibile della produzione della singola industria, questo l’aiuta a capire qual è il suo impatto e poi a intervenire per ridurlo. Il settore pubblico al contrario è ancora molto legato a temi che sono connessi all’ottimizzazione della spesa pubblica, e quindi alla riduzione del prezzo. Si basa su gare pubbliche bandite ogni 5-6 anni. Dico solo che nelle ultime due gare, parliamo quindi di un arco temporale lungo 12 anni, non è stata apportata alcuna modifica sostanziale ai bandi. Il che significa che in 12 anni il mondo è cambiato, ma la cosa non è stata presa in considerazione nelle gare pubbliche. Per questo si fa fatica, onestamente, a portare avanti un’innovazione sia nel campo dell’energia come in quello dell’acqua, proprio perché c’è un’attenzione proprio più al processo che non al prodotto. A proposito di bandi obsoleti: dal punto di vista delle regole cosa servirebbe di diverso? Servirebbe una progettazione dei bandi che puntino di più alla misurazione della performance invece che alle misurazioni tradizionali. C’è uno strumento che è il partenariato pubblico privato, che è una forma di collaborazione tra impresa privata e pubblico che può dare una grandissima spinta all’innovazione, alla sostenibilità e al patrimonio pubblico. Oggi ancora si guarda con sospetto a questo strumento, perché è uno strumento nuovo, ma in realtà può essere molto sfruttato e ha sicuramente delle potenzialità incredibili.
FONTE: Fortune Italia