La Repubblica, Bari
Finanziamenti pubblici per 12 milioni di euro, concessi dalla Regione Puglia all’azienda barese Ladisa per la realizzazione di un mega progetto sulla ristorazione: c’è anche questo al centro della prima inchiesta che ad aprile ha coinvolto il governatore Michele Emiliano, il quale venerdì scorso aveva ricevuto un nuovo avviso di proroga delle indagini preliminari nell’ambito di un’altra indagine: quella sulla nomina di Francesco Spina, ex sindaco di Bisceglie, a consigliere di amministrazione dell’agenzia regionale Innovapuglia. Il presidente della Regione è indagato per abuso d’ufficio e induzione indebita a dare o promettere utilità. Tale ultimo reato è contestato anche al capo di gabinetto del presidente della giunta, Claudio Stefanazzi, e agli imprenditori Vito Ladisa, Giacomo Mescia e Pietro Dotti (delle società Ladisa di Bari, Margherita di Foggia e Eggers di Torino).
L’indagine è condotta dalla guardia di finanza e coordinata dal procuratore aggiunto Giorgio Lino Bruno e dalla pm Savina Toscani con la supervisione del procuratore Giuseppe Volpe, che ha invece tenuto per sé il fascicolo sulla fuga di notizie che l’8 aprile scorso consentì a Emiliano di sapere in anticipo della imminente perquisizione, programmata per l’11 aprile.
La traccia da cui sono partite le verifiche è quella di presunti illeciti nel finanziamento della campagna elettorale per le primarie del Pd nel 2017, in cui Emiliano sfidò Matteo Renzi e Andrea Orlando nella corsa per la segreteria nazionale. La campagna di comunicazione da 64 mila euro fu affidata alla Eggers di Torino, di proprietà di Pietro Dotti, il cui lavoro fu contestato dal governatore pugliese per la sua scarsa incisività. L’agenzia voleva essere pagata, però, e per questo motivo ottenne un decreto ingiuntivo nei confronti di Emiliano, come Dotti ha confermato in un interrogatorio di cui è stato protagonista subito dopo le perquisizioni di aprile. Il debito fu poi saldato per 24 mila euro dalla Margherita di Mescia – secondo la Procura – e per 59 mila dalla Ladisa.
Proprio quella fattura, che Ladisa afferma di avere pagato per una propria campagna di comunicazione, rappresenterebbe la chiave di volta per capire se i rapporti fra l’esponente di vertice della Regione Puglia e l’imprenditore barese siano viziati da un accordo di fondo. Una sorta di do ut des, si ipotizza, nell’ambito del quale Ladisa avrebbe estinto il debito e la Regione avrebbe garantito aiuto. Sia nell’ottenimento di appalti sia nell’erogazione di finanziamenti.
E non è un caso che la Ladisa fosse tra le aziende papabili per aggiudicarsi il mega-appalto da 260 milioni di euro per le mense ospedaliere, poi bloccato e momentaneamente sostituito con gare ponte delle singole Asl. Né che nel decreto di perquisizione, eseguito il 9 aprile, la Procura avesse dato mandato ai finanzieri di cercare in casa di Vito Ladisa e nella sede aziendale documenti relativi «ai procedimenti amministrativi svolti o in corso di svolgimento e all’emissione, da parte della Regione, anche di finanziamenti e contributi». Soldi che in effetti arrivarono all’azienda pochi mesi dopo la campagna per le primarie del Pd, grazie a una delibera della giunta regionale approvata su proposta del presidente il 5 aprile 2018.
Quel documento – che diede il placet al finanziamento da 12 milioni di euro con fondi Por Fesr per il progetto RE-Star della Ladisa – è stato acquisito dalla Guardia di Finanza al dipartimento Sviluppo economico della Regione. Il progetto riguarda la “ristorazione 4.0”, con un investimento da 27 milioni, 12 dei quali di fondi europei, nella zona industriale di Bari.
Fonte: La Repubblica, Bari