La Repubblica, Bari – Il clan Mercante aveva messo gli occhi sulla security delle discoteche, i Capriati sulle attività del porto. Il gruppo Baldassarre voleva reinvestire i proventi degli illeciti nella floricultura, nell’ittica e nella commercializzazione di prodotti alimentari, alcolici in particolare. I Parisi – in alleanza con i Martiradonna – avevano puntato tutto sulle slot machine mentre i Diomede preferivano dedicarsi alla ristorazione.
Senza tralasciare poi quelli che avevano scommesso sulla spazzatura. Come quel gruppo che a Ruvo aveva messo in piedi un sistema di smaltimento di rifiuti pericolosi, riuscendo a farli sparire all’estero. Per la Dia «l’obiettivo attuale dei clan baresi è quello di acquisire posizioni dominanti di monopolio, andando a distorcere le normali regole di mercato e della concorrenza e di impadronirsi delle notevoli risorse economiche derivanti dall’aggiudicazione di servizi pubblici in appalto». Così, del resto, secondo la Dda di Bari sarebbe accaduto nel porto della città capoluogo, laddove il 18 aprile scorso furono arrestati 21 presunti affiliati al clan Capriati. L’infrastruttura è il centro nevralgico di interessi importanti, su cui lo storico gruppo di Bari Vecchia avrebbe messo gli occhi e le mani tramite le cooperative che vi operano all’interno. E se la Ariete è entrata direttamente nell’inchiesta “Porto” (per la quale è in corso l’udienza preliminare), in virtù «della fortissima influenza esercitata dal sodalizio» scrive la Dia, anche la Porti Levante Security è finita sotto i riflettori di forze dell’ordine e Prefettura a causa di alcuni permessi a portare le armi ritirate a soggetti ritenuti vicini alla criminalità. Dalla stessa indagine è emerso che un altro metodo privilegiato dai Capriati per arricchirsi senza sporcarsi troppo le mani era l’imposizione di merci (dalle buste di plastica ai vassoi in alluminio, ghiaccio, detersivi e prodotti per la casa) ai commercianti del quartiere Carrassi e a quelli impegnati nella festa patronale di San Nicola.
«I settori economici maggiormente investiti dal fenomeno di trasformazione della criminalità – spiega la relazione della Dia – sono la ristorazione, il commercio, l’edilizia, l’agroalimentare, il turismo, la grande distribuzione, i servizi pubblici essenziali e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani». A conferma dell’evoluzione «verso una mafia imprenditoriale» vengono citati anche i provvedimenti interdittivi emessi dal prefetto di Bari nei confronti di società i cui titolari sono stati ritenuti organici ai clan più strutturati.
In tutta la regione, in totale, sono stati 21 i provvedimenti interdittivi a carico di altrettante ditte ritenute contigue ad ambienti criminali, tra le quali anche la cooperativa Ariete, che lavora nel porto di Bari e a cui la piena operatività è stata poi restituita dai giudici amministrativi. Sempre nel tentativo di scoprire eventuali infiltrazioni negli appalti pubblici, nel 2018 è stato utilizzato a Bari anche lo strumento degli accessi ai cantieri, che ha consentito di controllare 6 imprese, 54 persone e 7 mezzi.
Fonte: La Repubblica